Marocco: babele di lingue a scuola

Lo studente marocchino medio studia 12 anni in arabo, ma la lingua dell’università è il francese.

L’uso della lingua, in Marocco, non è una questione di lana caprina. Al contrario, il conoscere o meno una lingua influenza in maniera determinante il successo (se non addirittura l’accesso) in ambito accademico e professionale. E questa lingua, ça va sans dire, è il Francese.

morocco-school-merzougaProtettorato francese dal 1912 all’indipendenza nel 1956, il Regno alawita non si è minimamente levato di dosso l’eredità culturale dell’ex metropoli, di cui il variegato panorama linguistico marocchino è un esempio lampante. Dai cartelli agli annunci sui treni, dalle librerie alla pubblicità, la lingua di Balzac è il mezzo di comunicazione più prestigioso, quello con cui l’élite e la borghesia che aspira a diventarlo si esprime. Di parole ed espressioni francesi è piena anche la ‘darija’, il dialetto marocchino parlato nella vita di tutti i giorni di derivazione araba ma con un importantissimo influsso da parte del tamazight. Quest’ultimo altro non è che il berbero, idioma diviso in vari dialetti e madrelingua di almeno un terzo dei Marocchini, discendenti delle genti che popolavano il Nordafrica prima dell’arrivo degli Arabi nel VII secolo dopo Cristo. In un universo quasi parallelo, infine, si colloca ‘al-‘arabyia al-fusha’, l’arabo ‘più puro’ (ciò significa ‘fusha’) che affonda le proprie radici nella lingua del Corano e si denota come la versione contemporanea standardizzata dell’Arabo con cui i telegiornali e i libri sono diffusi da Nouakchott fino a Baghdad; relegata ai mass media e a contesti formali, di utilizzarla quotidianamente, però, neppure a parlarne.

Di fronte a questo patchwork linguistico si trova lo studente di qualsivoglia scuola pubblica marocchina a partire dalla prima elementare. Quando negli anni Ottanta si decise di abbandonare il Francese come lingua d’insegnamento nella scuola per adottare l’Arabo, molti furono entusiasti di affermare l’indipendenza del Marocco dall’ex colonizzatore. Ciononostante, a livello universitario l’Arabo non si è mai affermato, soprattutto per quanto concerne le materie scientifiche, e questo soprattutto a causa delle carenza di docenti qualificati per l’insegnamento in questa lingua.

Attualmente, quindi, il quadro è paradossale. Lo studente marocchino medio, infatti, studierà per 12 anni, ovvero dalle elementari al liceo, esclusivamente in Arabo, per poi trovarsi a un bivio al momento di varcare la soglia dell’università. Laddove scegliesse di intraprendere studi umanistici, nessun problema; se il poveretto, invece, volesse darsi alla fisica, alla chimica o alla biologia, questi sarà obbligato a studiare in Francese materie di cui, fino a pochi mesi prima, aveva sentito parlare solamente in Arabo. La combinazione peggiore è, infine, quella di cui sarà protagonista un futuro insegnante di scienze, costretto a studiare una dozzina d’anni in Arabo, compiere i propri studi superiori in Francese e poi ritornare in aula come docente e dover utilizzare l’Arabo nella didattica.

Non che il Francese sia terra straniera per i Marocchini fino all’università. Lahcen Daoudi, Ministro dell’Istruzione, ha dichiarato ad Al-Jazeera che, durante gli anni del liceo, «in Marocco agli studenti sono offerte più di 1600 ore di insegnamento in Francese, il che dovrebbe dare loro una preparazione linguistica sufficiente. Il problema non è, quindi, il numero di ore, ma piuttosto la qualità delle stesse e l’impegno profuso».

Nel 2015, circa 185.000 Marocchini erano impegnati in studi universitari scientifici. Sempre Al-Jazeera, però, riporta come l’85% degli studenti dell’Università Hassan II di Mohammedia, il più prestigioso ateneo marocchino nel campo dell’ingegneria, abbia dichiarato di non conoscere il Francese a un punto tale da poter portare avanti con successo il proprio percorso accademico.

Per ovviare, almeno in parte, a questo problema, il Ministro dell’Educazione Rachid Belmokhtar, ha proposto, lo scorso dicembre, di ritornare all’utilizzo del Francese per l’insegnamento delle materie scientifiche nelle scuole superiori. Nonostante Abdelilah Benkirane, Primo Ministro uscito dalle fila del partito islamista moderato PJD (Parti Justice et Développement), si sia strenuamente opposto all’iniziativa e abbia supportato il mantenimento dell’insegnamento in Arabo, Belmokhtar, forte del sostegno di Re Muhammad VI, ha avuto il nullaosta del Consiglio dei Ministri. Il ritorno alla lingua di Flaubert, però, sarà tutt’altro che celere: secondo i piani, infatti, non sarà implementato prima del 2030.

Nel frattempo, a dovere sottoporsi a un esame di coscienza è la scuola pubblica marocchina in toto. Il problema più urgente è il sovraffollamento; secondo un rapporto UNESCO pubblicato nel 2015, infatti, nel periodo 2011-2014 la media di studenti per classe nella scuola primaria oscillava tra 28 e 29. Altrettanto preoccupante è il divario tra realtà urbane e rurali, dove villaggi sperduti senza acqua corrente o elettricità costituiscono una sfida per qualsiasi insegnante.

Il governo ha tentato di porre rimedio a questa situazione tramite l’Iniziativa Nazionale per lo Sviluppo Umano, lanciata da Muhammad VI nel 2005. Tramite la distribuzione di incentivi finanziari alle famiglie e di biciclette a bambini che ogni giorno, per raggiungere la scuola, dovrebbero camminare per ore, qualcosa è stato fatto, ma la strada è ancora lunga.

In Marocco, un terzo della popolazione è analfabeta, e in questa quota rientra il 18% dei giovani tra i 15 e i 24 anni, intorno al 10% in più rispetto ai vicini algerini e tunisini. Il divario città e campagna è sensibile anche nel passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria: secondo le Nazioni Unite, l’83% dei bambini marocchini ha accesso alle scuole medie, ma di quelli che non ci arrivano la stragrande maggioranza si trova in realtà rurali isolate. Un dato su tutti: la Banca Mondiale ha classificato il Marocco undicesimo su quattordici stati nordafricani e mediorientali in termini di accesso, pari opportunità, efficacia e qualità nell’educazione.

Un ennesimo ostacolo ci riporta alla problematica centrale di quest’articolo, ovvero la lingua. Almeno nei primi anni di istruzione, pedagogicamente parlando l’utilizzo della lingua madre è sicuramente più produttivo dell’adozione di un’altra lingua. Per rispondere a questa criticità, l’anno scorso fu ventilata la proposta di utilizzare la darija marocchina nell’istruzione primaria, e non l’arabo letterario, come d’uso attualmente; la reazione, soprattutto da parte degli islamisti, fu di unanime condanna, di accusa di attentare all’identità arabo-musulmana del Regno e simili amenità. In ogni caso, neppure la scelta dell’Arabo marocchino sarebbe una soluzione soddisfacente, visto tutti i bambini la cui lingua madre è il tamazight. Come intuibile, una situazione da cui è difficile uscire.

Fatto sta che Parigi perdura a essere il primo partner commerciale di Rabat, e una schiera di giovani bilingui è una risorsa da non disprezzare affatto. Il punto è che le famiglie benestanti possono permettersi di iscrivere i propri pargoli in istituti privati dove il Francese è insegnato (meglio) sin dal primo anno, e non dalla quarta elementare come nell’istruzione pubblica. Da ciò consegue che possa capitare, come più volte è successo al sottoscritto, di incontrare Marocchini dal Francese impeccabile a fronte di un Arabo zoppicante. Ma tant’è, l’Arabo lo lasciamo al popolino: è con il Francese che si fanno i soldi.

 

Fonte: L’Indro

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