Lo strano caso della lingua francese

Brexit stuzzica oltralpe il sogno di una lingua di nuovo mondiale: la più parlata nel 2050. Grazie all’Africa.

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La diffusione di un idioma non coincide con la sua influenza, certo. Ma è dal 2014, l’anno in cui è uscito uno studio di Natixis, un’importante banca di investimento guardacaso d’Oltralpe, che si scatena a più riprese una polemica che ha a che vedere con una montagna di soldi da impiegare nei prossimi 30 anni nei media e nell’intrattenimento. Secondo Natixis, nel 2050 il francese sarà la lingua più parlata del mondo (750 milioni di persone), e dribblerà non solo l’inglese ma anche il mandarino. Oggi la lingua di Voltaire è, stando all’infografica riportata dal Forum di Davos, la terza (dopo inglese e arabo) quanto a numeri di nazioni in cui è parlata, 51, e la sesta più usata nel mondo, dopo il cinese, l’inglese, lo spagnolo, l’hindi e l’arabo. L’auspicato balzo francese si basa sulle previsioni di crescita demografica dell’Africa: 4 su 5 francofoni saranno di area subsahariana ed equatoriale, le zone più prolifiche del futuro. Per fare un esempio, la Repubblica democratica del Congo nel 2050 ospiterà 200 milioni di persone. I World Population Prospects delle Nazioni Unite e, ovviamente, l’Observatoire démographique et statistique de l’Espace Francophone hanno dato sostanzialmente per buone le conclusioni di Netixis, anzi, vi affiancano dati relativi al Marocco (quasi 14 milioni di francofoni nel 2050). Il tutto è poi di conseguenza: pensando a un’Africa che nel 2100 dovrebbe avere 4,5 miliardi di abitanti (il 38% della popolazione mondiale), i demografi sostengono che almeno un paio di paesi francofoni, Burundi e Mali, quintuplicherebbero i cittadini. I commentari internazionali però ridimensionano il sogno gallico (i tassi di natalità hanno una loro imprevedibilità, una lingua coloniale se la deve vedere con gli idiomi coesistenti e panorami politici complessi, i giovani africani colti sanno l’inglese, il vero gigante demografico africano sarà la Nigeria, anglofona…).

Ma tant’è: la Brexit rinfocola Oltralpe il desiderio di vedersi restituita una lingua globale. Giovanni Gobber rimette le cose nella giusta prospettiva. «La Brexit? Via, è solo un referendum. E, nel caso, l’inglese è dal dopoguerra che ha sostituito il tedesco nella comunicazione transnazionale in Svezia, in Scandinavia, in Germania, nell’area baltica e fiamminga». Intanto l’Economist ha però fatto presente che nessun paese potrebbe più chiedere a Bruxelles l’inglese come lingua ufficiale della Ue, dal momento che gli irlandesi hanno già scelto il gaelico e i maltesi il maltese. E se qualcuno spera nelle mosse della Scozia, ecco che ai francesi non pare vero. Ricordano i bei tempi, era il 2006, quando Chirac poteva permettersi di uscire infuriato da una riunione Ue e di sbattere la porta, perché un delegato francese stava parlando all’uditorio in inglese.

FASCINO LATINO La Consulta dei professori di latino, la Regione Lombardia e l’Università Cattolica di Milano hanno tenuto a battesimo il primo test per la certificazione della lingua latina. Aspettative in vista, data la buona partecipazione (l’attestato vale come credito formativo)? Arrivare a un modello nazionale da proporre al Ministero dell’istruzione, ufficializzando la certificazione. Intanto, pare che da qualche anno adolescenti e Millennial trovino cool declinazioni e metrica, e che le aziende, soprattutto all’estero, dimostrino di essere molto colpite dai CV che annoverano tale competenza linguistica. Chi l’avrebbe mai detto.

Fonte: DRepubblica

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