“Così i piccioni riconoscono le parole”

I volatili, se addestrati, sanno distinguere sequenze di lettere che rispettano le regole della grammatica. “La ricerca neozelandese ci aiuterà come nasce la capacità di lettura degli esseri umani”.

ROMA – Un piccione osserva lo schermo di un computer su cui scorrono parole e simboli. Di tanto in tanto seleziona uno degli elementi presenti sul monitor, e in caso di risposta corretta riceve una ricompensa. Cosa sta succedendo di preciso? Siamo nei laboratori della University of Otago, in Nuova Zelanda, dove si studia, in collaborazione con la tedesca Università della Ruhr, la possibilità che questi uccelli siano in grado di riconoscere le parole delle lingue umane. E la risposta per ora sembra positiva. A dimostrarlo, uno studio pubblicato di recente sui Proceedings of the National Academy of Sciences.

Così i piccioni riconoscono le parole

I piccioni dunque sanno leggere? Meglio andarci cauti. “Ovviamente gli uccelli non possiedono capacità di lettura in senso umano: non possono collegare le lettere che vedono a suoni, o le parole a significati”, spiega Giorgio Vallortigara, neuroscienziato dell’Università di Trento esperto di cognizione animale. “Quella che emerge dallo studio comunque è una capacità interessante, ovvero l’abilità di riconoscere le regolarità statistiche che guidano la formazione delle parole”.

Per capire di cosa stiamo parlando è meglio fare un passo indietro, e tornare all’esperimento condotto dai ricercatori neozelandesi. Nello studio, guidato da Damian Scarf del Dipertimento di psicologia della University of Otago, un gruppo di piccioni (Columba livia) è stato addestrato utilizzando una lista di 308 parole di quattro lettere, alcune ben formate (cioè parole effettivamente appartenenti alla lingua inglese), e altre costruite violando le regole ortografiche, cioè sequenze di lettere che nessun madrelingua scambierebbe per parole a tutti gli effetti.

Posti di fronte allo schermo di un computer, agli uccelli venivano presentate una stringa di lettere e una stella: nel caso di una parola ben formata dovevano beccare sulla stessa, mentre nel caso di una mal formata dovevano beccare la stella, e per ogni risposta corretta i ricercatori premiavano gli uccelli con del cibo. Così addestrati, gli animali hanno imparato a riconoscere correttamente fino a 58 parole delle 308 contenute nella lista iniziale.

Un successo notevole per dei semplici uccelli. Rimaneva però la possibilità che i piccioni stessero semplicemente imparando a memoria le risposte corrette. Per verificarlo, i ricercatori hanno scelto i quattro esemplari che avevano mostrato i risultati migliori nel test, e li hanno sottoposti a un nuovo esperimento in cui era chiesto loro di riconoscere parole mai viste precedentemente. Anche in questo caso, le percentuali di risposte corrette dei piccioni indicherebbero la capacità di riconoscere le parole che rispettano le regole ortografiche di una determinata lingua.

“In pratica, i piccioni saprebbero riconoscere una parola ben formata, ad esempio ‘casa’, da una mal formata, come ‘csas’”, chiarisce Vallortigara. “Non si tratta di saper leggere, ma vuol dire comunque che questi animali, una volta addestrati, sanno generalizzare, estrapolando le regole statistiche con cui vengono formate le parole in una determinata lingua, ad esempio che in inglese la coppia di lettere C-H sia molto più comune di C-B. E in questo modo, arriverebbero a processare le parole in modo ortografico. È un risultato interessante, che ci aiuta a capire da dove nasce la nostra stessa capacità di lettura”.

Nel cervello umano, continua il neuroscienziato, c’è infatti un’area specifica dedicata ad analizzare la forma visiva delle parole, la cui esistenza però non è facile da spiegare da un punto di vista evolutivo, perché la nascita della scrittura è molto più recente rispetto a quella del linguaggio parlato. Per questo motivo, è stata proposta l’ipotesi che si tratti di un cosiddetto processo di “neuronal recycling”, cioè che la nostra specie abbia riciclato capacità più antiche (e quindi presenti anche nel cervello di animali più semplici dell’uomo) destinandole a un nuovo scopo, in questo caso il riconoscimento delle parole.

“Un’area cerebrale sviluppatasi per riconoscere le forme degli oggetti del mondo naturale può quindi avere anche un utilizzo differente, e nel cervello di un essere umano che sa leggere e scrivere si specializza nel riconoscimento delle parole”, conclude Vallortigara. “Quello che è interessante è che questo, in misura minore ovviamente, sia possibile anche nel cervello dei piccioni. Essendo una specie molto lontana dalla nostra, i risultati dello studio dimostrerebbero che si tratta di capacità estremamente condivise all’interno del mondo animale”.

Fonte: repubblica.it

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