L’inglese e il suo spelling vi paiono difficili? Provate con l’irlandese, la lingua più assurda del mondo

Perché usare quattro lettere per pronunciare una parola di quattro suoni quando puoi usarne undici? È, più o meno, la sintesi dell’irlandese scritto: nessuno potrà mai pronunciarlo senza prima aver studiato mesi e mesi

L’inglese non si scrive come si pronuncia, lo sappiamo. Lamentarsene (o vantarsene, come fanno alcuni pazzoidi anglosassoni) è vano, oltre che ridicolo: in fondo si tratta di alcune variazioni, irregolarità generali. Imprevisti anarchici di una lingua che da sempre si prende gioco delle regole e dei musoni grammaticali. Un idioma monello. Ma, al confronto del gaelico – si intende qui la lingua irlandese, non quella scozzese – anche il birbante britannico impallidisce. È un altro livello, un altro campionato: un modo più assurdo di utilizzare l’alfabeto latino non poteva (né può) esistere.

Basta un esempio: Níl a fhios agam an bhfaighidh mé é lena aghaidh, che significa “Non so se riuscirò a ottenerlo da lui”, viene pronunciato, più o meno, “nila sam-a-uai me-le nai”. Corrispondenze trovate tra pronuncia e scrittura? Nessuna.

O meglio, qualcuna c’è. Ma per individuarle occorre una guida molto dettagliata. L’irlandese è una lingua che impiega molte consonanti e molte vocali per esprimere meno suoni. Come bhfaigheadh, che significa “ricevere”: impiega 11 lettere ma viene pronunciato “viéi”. Perché? Forse sono matti. Forse, però, ci sono anche altre ragioni.

Come per l’inglese, a un certo punto della storia, scrittura e pronuncia hanno cominciato a distaccarsi: la prima, più conservativa, si è evoluta meno, mentre l’altra è corsa in avanti, cambiando le regole del gioco. Parole pronunciate come si scrivevano sono diventati arcani da decifrare. Questo, forse, aiuta a rendere le cose un po’ più chiare.

Vocali

In gaelico le vocali saltano fuori all’improvviso: impreviste e – all’apparenza – inspiegabili. Alcune sono pronunciate, altre no. Queste ultime non sono solo un ghiribizzo dei grammatici, ma hanno in realtà una funzione importante: aiutano a distinguere tra consonanti “ampie” e consonanti “strette”. Per capire di cosa si parla, occorre sapere che in questa lingua, come del resto in russo, le consonanti hanno una forma doppia: una forte e una debole. Si tratta di suoni che, senza saperlo, pronunciamo tutti ma, a differenza di ciò che accade in altre lingue (come italiano e inglese), in irlandese vengono distinti: usare uno anziché l’altro cambia il significato della parola. Dire “bi” usando una “b” forte anziché dire “bi” usando una “b” debole è molto diverso: cambia il senso. Per capirsi: “” (cioè “b” stretta, segnalata da “i”, vocale stretta) significa “essere”. Dire “buí” (cioè sempre “bì”, ma con una “b” ampia, segnalata in questo caso da “u”, vocale non pronunciata che precede “i” vocale stretta), significa “giallo”. Tutto chiaro? Meglio che lo sia, perché il peggio deve ancora arrivare.

Come si capisce se una vocale va pronunciata o no? Ci sono diversi trucchi. Se è accentata, come in buí, o feár (far), o ciúin (ku-n), allora è facile: si pronuncia. Le altre, che la precedano o la seguano, no. In altri casi, però, è meno semplice. Occorre studiare le combinazioni: ad esempio EO diventa una lunga “o”. AO, invece, diventa una lunga “i”. AE una lunga “e”. Per cui “saoirse”, cioè “libertà”, va pronunciato “shiirsh” (sì, come si vedrà dopo, la “s” stretta è indicata dalla “i” e dalla “e” e viene pronunciata come la “sc” di “uscio”).

Consonanti

Sono la vera bestia nera dell’irlandese. Quelle cosiddette “ampie” sono pronunciate come in italiano: “p” è uguale a “p”, “b” è uguale a “b”, “t” è uguale a “t”, “c” è sempre “c”, come in italiano. Con alcune variazioni: “s”, se è ampia, non viene pronunciata. Altrimenti, è detta “sh”. Quelle “ristrette” hanno solo qualche vocale accanto per distinguerle dalle altre. So far so good.

Ci sono, però, anche le consonanti intervocaliche: come spesso succede (ad esempio in greco antico o in tedesco) le consonanti, quando si trovano tra due vocali, diventano più deboli. Per indicare questa perdita di forza, l’irlandese aggiunge una “h” alla consonante. Per cui “p” diventa “ph”, e viene pronunciata “f”, come in greco. “T” diventa “th”, e nella pronuncia si riduce a una “h”. “C”, diventa “ch” e pronunciato “ch” come in tedesco. Attenzione, però: “b”, che diventa “bh”, viene pronunciato “v”. Ma anche “mh” viene pronunciato “v”. “Sh”, “dh” e “gh” finiscono tutti per diventare “J”, cioè il suono di “jena” in italiano. “Fh”, invece, non viene nemmeno pronunciato.

Insomma, dato questo breve quadro di vocali e consonanti, ci si può cimentare nella lettura (o meglio decifrazione) della frase citata all’inizio: Níl a fhios agam an bhfaighidh mé é lena aghaidh. Analisi: “Níl” resta uguale, “fhios” scompare, visto che “fh” è muto, “i” anche, dato che è usato per indicare il suono stretto, mentre “o”, che è a fine parola diventa inconsistente e viene assimilato con la “a” precedente. Agam, che vuol dire “ho”, fa sparire la “g” tra le due “a”. Risultato: Nil-a-sam.

E ancora: “an bhfaighidh mé é lena aghaidh” si trasforma. An rimane (attenuando la “n”), mentre bhfaighidh diventa vai (bhf=v, a=a, ighidh=i) o meglio, uai. “” ed “é” restano, mentre aghaidh diventa “ai”. Complicato? Moltissimo. Piacevole? Meno.

Di sicuro, dopo questo breve pellegrinaggio nelle lingue celtiche, siamo tutti più consapevoli che l’inglese e il suo spelling, tutto sommato, non siano così male. Ci è andata bene che, tra tutti gli abitanti di quelle isole, siano stati gli inglesi a dominare il mondo – e non gli irlandesi. Altrimenti, solo per imparare a scrivere, sarebbe servito un anno di scuola in più a tutti. O forse due.

 Fonte: Linkiesta

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