Perché fa bene (anche alla salute) imparare le lingue straniere da piccoli

Perché fa bene (anche alla salute) imparare le lingue straniere da piccoli

Lo aveva capito già don Lorenzo Milani quarant’anni fa che è importante imparare le lingue straniere, ma — si sa — don Lorenzo non a caso è stato definito l’uomo del futuro. «Più lingue possibili» scriveva in “Lettera a una professoressa” «perché al mondo non ci siamo solo noi. Vorremmo — continuava — che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre». La lingua dunque come strumento di riscatto sociale, perché — sono sempre parole del priore di Barbiana — «è solo la lingua che fa eguali». E la prima arma in un Paese non necessariamente ostile ma sicuramente straniero è la lingua con la quale rivendicare i diritti fondamentali come lavoro, casa, istruzione, salute.

In ogni modo, sia per chi vi è costretto (gli immigrati) sia per chi vi è naturalmente portato (i nati da genitori che parlano lingue diverse) sia per chi lo sceglie consapevolmente (famiglie che decidono di iscrivere il proprio figlio a una scuola con una lingua d’insegnamento diversa da quella parlata in casa) si tratta sempre di una grande opportunità, e se ormai non ci sono più dubbi sul fatto che sapere più lingue ti apre la mente e ti rende più tollerante e adattabile ai cambiamenti, non è ancora scontata la consapevolezza dei benefici che comporta quando questo avviene nei primi anni di vita.

Ma perché medici, scienziati e pedagogisti hanno deciso di occuparsi delle seconde lingue nei primi anni di vita? Perché si tratta di situazioni che non sono più un’eccezione: in Italia almeno 1 bambino su 5 ha un genitore straniero e stiamo assistendo a una sempre più capillare e intensa diffusione di lingue e dialetti locali, senza contare che il bilinguismo è un tratto distintivo di molte regioni italiane, non solo di confine. Quello su cui i relatori indagheranno, prima di presentare alcune buone pratiche interessanti sia per le famiglie che per i servizi educativi, riguarda i vantaggi che un’educazione precoce al plurilinguismo apporta nei bambini, vantaggi che non sono solo linguistici: «Imparare più di una lingua fin dalla nascita in un ambiente stimolante — ci spiega Amanda Saksida della SISSA — può avere molti benefici a livello di sviluppo cognitivo, incluso un più veloce e migliore sviluppo di varie funzioni esecutive, oltre al fatto che potrebbero anche avere meno problemi nell’apprendimento di una terza o quarta lingua. Per questo motivo i bambini bilingui sono spesso considerati più “intelligenti” dei monolingui.

Infine, i benefici del bilinguismo si estendono anche alle età più avanzate: i bilingui potrebbero, infatti, essere più resistenti alla demenza e ad altri sintomi dell’Alzheimer». Tuttavia, sottolinea Saksida, tutto ciò avviene a condizione che ci sia una comunità accogliente, che supporta le diversità culturali e linguistiche anche attraverso un sostegno istituzionale e finanziario: in un ambiente ostile, infatti, i genitori potrebbero decidere di usare solo la lingua maggioritaria, quella dominante in quella società. «Un tempo» ci racconta Anduena Alushaj, ricercatrice del Centro per la Salute del Bambino «si tendeva a dimenticare la lingua madre, perché si temeva che inibisse l’apprendimento della seconda lingua, mentre in realtà la lingua madre aiuta ad apprendere la seconda lingua, ma è essenziale l’intensità d’esposizione, il coinvolgimento dei genitori, la continuità; è altresì importante che nessuna delle due lingue sia motivo d’esclusione per uno dei genitori e che la comunità favorisca l’acquisizione della così detta L2 attraverso iniziative che comunichino accoglienza e ospitalità come ad esempio le letture in biblioteca e la condivisione delle fiabe».

Perché una lingua cresce solo se si relaziona e si mette alla prova. Come un bambino.

 

Fonte: agi.it

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