Le lingue non hanno tutte lo stesso numero di termini per indicare i colori. Forse si è capito perché

Le persone con una vista normale possono vedere milioni di colori diversi. Ma il linguaggio umano li categorizza in un piccolo insieme di parole.

La maggior parte delle persone conosce, infatti, 11 parole per indicare colori: nero, bianco, rosso, verde, giallo, blu, marrone, arancione, rosa, viola e grigio. Almeno, questo è ciò che succede con l’inglese americano.

Se sei un artista o un designer d’interni, probabilmente conoscerai il significato specifico di 50 o addirittura 100 termini che indicano colori – come il turchesel’ambral’indaco o il tortora. Ma anche questa è solo una piccola parte dei colori che possiamo distinguere.

È interessante notare che i modi in cui le lingue categorizzano il colore variano notevolmente. Le culture non industrializzate hanno tipicamente meno parole per i colori rispetto alle culture industrializzate. Perciò, mentre l’inglese ha 11 parole che tutti sanno, la lingua della Papua-Nuova Guinea, il Berinmo ne ha solo cinque e il linguaggio amazzonico-boliviano, Tsimane, ha solo tre colori che tutti conoscono: il nero, il bianco e il rosso.

L’obiettivo della nostra ricerca era quello di capire perché ci sia una così grande varietà nelle parole che le diverse culture usano per indicare colori.

Sono i colori che si distinguono più chiaramente?

La spiegazione più ampiamente accettata per giustificare questa differenza è quella data da due linguisti, Brent Berlin e Paul Kay. In un loro primo studio degli anni Sessanta, hanno raccolto dati da 20 lingue diverse. Osservarono alcune cose comuni per tutte le lingue: se una lingua aveva solo due termini, erano sempre bianco e nero; se ce ne era un terzo, era rosso; il quarto e il quinto erano sempre verde e giallo (non importa l’ordine); il sesto era blu; il settimo era marrone; e così via.

Sulla base di quest’ordine, Berlin e Kay hanno sostenuto che alcuni colori erano più presenti. Hanno aggiunto che le culture iniziano con il nome dei colori più importanti, portando dentro nuovi termini uno alla volta, in ordine. Quindi il bianco e nero sono i più importanti, poi il rosso e così via.

Sebbene questo approccio sembrasse promettente,in realtà presenta molti problemi.

Berlin, Kay e i loro colleghi hanno continuato a raccogliere un set di dati ancora più vasto, da 110 lingue non industrializzate. La loro generalizzazione originale non è più così chiara in questo nuovo insieme di dati: ci sono state molte eccezioni, che Kay e i suoi colleghi hanno cercato di spiegare in una teoria più complessa.

Inoltre, questa teoria ‘nativista’ non spiega il motivo per cui l’industrializzazione, che ha introdotto colori standardizzati su larga scala, abbia determinato l’introduzione di più colori nel linguaggio. I sistemi visivi delle persone di culture diverse sono gli stessi: in questo modello l’industrializzazione non dovrebbe determinare differenze sulla categorizzazione dei colori, cosa che invece evidentemente fa.

Come descrivi il colore in N4?

I nostri gruppidi ricerca hanno, quindi, sviluppato una tesi completamente diversa: forse le parole che indicano colori si sono sviluppate per rendere efficiente la comunicazione.

L’obiettivo del test è denominare semplicemente un frammento colorato da un insieme di colori. Nel nostro studio abbiamo utilizzato 80 frammenti colorati selezionati dai colori Munsell, distribuiti in modo uniforme su una griglia di colore (sotto). Ogni coppia di colori vicini è alla stessa ‘distanza’ da un’altra coppia in termini di differenza relativa tra i membri della coppia.

Il compito è quello di etichettare semplicemente il colore con una parola (“rosso”, “blu” e così via).

Richard Futrell and Edward Gibson, CC BY

Per valutare la tesi basata sulla comunicazione, dobbiamo pensare alla denominazione dei colori in termini semplci dal punto di vista della comunicazione, che possono essere formalizzati nellateoria dell’informazione. Supponiamo che il colore che seleziono a caso sia N4. La parola scelta è “blu”. Se avessi selezionato A3non avrei mai detto “blu”. E se avessi scelto M3, forse avrei detto “blu”, forse “verde” o forse qualcos’altro.

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Ora, in questo esperimento, tu sei un ascoltatore e stai cercando di capire quale colore intendevo. Potresti scegliere un insieme di frammenti di colore che pensi corrispondano al mio colore “blu”. Forse selezionerai un set di 12 frammenti di colore corrispondente a tutti quelli nelle colonne M, N e O. Io dirò sì, perché il mio frammento si trova in uno di queste. Poi dividi il tuo set a metà e tiri nuovamente a indovinare.

Il numero di tentativi che porta il teorico ascoltatore a individuare il frammento di colore basandosi sul colore che ho enunciato si traduce in un ‘punteggio’ del frammento. Possiamo calcolare questo punteggio – il numero di congetture per arrivarci – utilizzando una semplice operazione matematica. Utilizzando questi punteggi, possiamo ora classificare tutti i colori della griglia, in qualsiasi lingua.

Si è scoperto che, in inglese, la gente può trasmettere i colori caldi – rossi, arancioni e gialli – in modo più efficiente (cioè servono meno tentativi per individuarli) rispetto ai colori freddi – blu e verdi.

Lo si può vedere nella griglia: ci sono meno “concorrenti” per quelli che potrebbero essere etichettati come “rosso”, “arancione” o “giallo” rispetto a quelli che potrebbero essere etichettati “blu” o “verde”.

E questo sebbene la griglia stessa venga percepita uniforme: è stata progettata per coprire completamente i colori più saturi dallo spazio di colore Munsell e affinché ogni coppia di colori vicini appaia alla stessa ‘distanza cromatica’, non importa dove sia collocata nella griglia.

Abbiamo scoperto che questa generalizzazione è vera in tutte le lingue del Survey Color World (che comprende 110 lingue) e in altre tre su cui abbiamo fatto esperimenti più dettagliati: inglese, spagnolo e Tsimane.

Richard Futrell, CC BY

Ogni riga ordina i tasselli di colore presenti sulla griglia precedente a seconda della lingua: i colori più a sinistra sono più facili da comunicare, quelli più a destra sono più difficili da comunicare. Richard Futrell, CC BY

Questo risulta ancora più chiara dalla rappresentazione grafica nel disegno sopra: ogni riga i tasselli di colore per un particolare linguaggio, Mentre l’ordine da sinistra a destra è da quelli che si riescono a definire più facilmente ( all’ascoltatore servono cioè meno tentativi per individuare con precisione il tassello scelto) a quelli più difficili.

Il diagramma mostra che tutte le lingue hanno approssimativamente lo stesso ordine, con i colori caldi a sinistra (facili da comunicare) e quelli più freddi a destra (più difficili da comunicare).

Questa generalizzazione si verifica sebbene le lingue vicino al fondo dell’immagine abbiano pochi termini che le persone utilizzano in modo consapevole, mentre le lingue vicino alla parte superiore (come l’inglese e lo spagnolo) hanno molti termini che la maggior parte delle persone usa in modo consapevole.

Diamo un nome ai colori degli oggetti di cui vogliamo parlare

Oltre alla scoperta di questo straordinario elemento universale in tutte le lingue, volevamo anche scoprire quale fosse la causa. Tenendo sempre presente la nostra tesi, cioè che introduciamo le parole in una lingua quando c’è qualcosa di cui vogliamo parlare, questo effetto forse nasce perché gli oggetti – le cose di cui vogliamo parlare – tendono ad avere per lo più di colori caldi. Abbiamo verificato questa ipotesi su un database di 20.000 fotografie di oggetti che gli utenti di Microsoft avevano deciso di usare per categorizzare oggetti, distinti dallo sfondo.

I nostri colleghi hanno poi determinato i confini specifici dell’oggetto in ogni immagine e delineato lo sfondo.

Infine abbiamo mappato i colori delle immagini sul nostro set di 80 colori. Si è scoperto che effettivamente gli oggetti sono con più probabilità di colori caldi, mentre gli sfondi sono di colori più freddi. Se un pixel di un’immagine è su un oggetto è più probabile che corrisponda a un colore più facile da comunicare.

I colori degli oggetti tendono insomma a essere più a sinistra nel nostro grafico dell’efficienza comunicativa.

Se ci pensiamo, non è così sorprendente dopo tutto. Gli sfondi sono cielo, acqua, erba, alberi: tutti colori freddi.Gli oggetti sono colorati: persone, animali, frutta e così via. La nostra ipotesi spiega anche perché vengono usati più termini per riferirsi ai colori in una lingua industrializzata. Con l’aumento della tecnologia migliorano anche i modi di purificare i pigmenti e di produrne di nuovi, nonché nuovi display a colori. Quindi possiamo ricreare degli oggetti diversi solo per il colore – per esempio, il nuovo iPhone viene venduti in “oro rosa” e “oro” – il che rende ancora più utile la denominazione dei colori.

Così, contrariamente all’ipotesi della rilevanza visiva nativa, l’ipotesi basata sulla comunicazione ha contribuito a identificare un vero e proprio linguaggio cross-linguistico universale – i colori caldi sono più facili da comunicare rispetto a quelli più freddi – e spiega facilmente le differenze interculturali. Ci fa capire anche perché spesso le parole che identificano colori entrano in una lingua non con questo uso, ma come termini per indicare oggetti o sostanze. Per esempio, “arancione” viene dal frutto “arancia”; “rosso” viene dal termine sanscrito che indica il sangue. Insomma, etichettiamo le cose di cui vogliamo parlare.

* Ted Gibson è professore di Scienze Cognitive al Massachusetts Institute of Technology
* Bevil Conway è un neuroscienziato al National Eye Institute’s Sensation

Questo articolo è tradotto da The ConversationPer leggerlo in lingua originale vai qui

 

 

Fonte: businessinsider.com

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