Si dice che gli italiani non siano portati per le lingue straniere, ma è il metodo d’insegnamento ad essere sbagliato.
Quando si parla di imparare le lingue, italiani e inglesi sono accomunati dallo stesso pregiudizio: non siamo capaci, non siamo portati, non ci interessa. Alcuni paesi, ad esempio nell’Europa del nord, parlano fluentemente inglese già da ragazzi, mentre altri, come Italia, Francia e Spagna sembrano avere difficoltà anche da adulti.
Ma da dove deriva questa differenza? Siamo “geneticamente” non portati per le lingue? Se si analizza la questione più da vicino ci si accorgerà di una differenza enorme: nei Paesi che si contraddistinguono per una buona conoscenza delle lingue straniere i metodi di studio sono molto diversi da quelli in cui le lingue straniere si conoscono o si parlano meno bene.
Diversi metodi di apprendimento
Svezia, Olanda e Danimarca, i Paesi che si sono distinti nell’ultimo English Profiency Index utilizzano prevalentemente un metodo di studio che privilegia l’insegnamento da parte di insegnati madrelingua, un’immersione totale nella lingua quindi che dà grande peso alla comunicazione orale e agli stimoli esterni in cui l’apprendimento autonomo gioca un ruolo molto forte.
Tutti i sensi sono stimolati con tre metodi di apprendimento: quello uditivo, quello visuale e quello cinetico/tattile (in cui sono coinvolti il movimento e il tatto). I ragazzi possono imparare non solo leggendo, ma anche interagendo direttamente con l’insegnante madrelingua e con drammatizzazioni in cui si usano immagini (metodo visivo) e gesti (cinetico).
In Italia invece si privilegia ancora il cosiddetto “approccio formalistico”, che vide gli albori nel XVIII secolo.
La lingua si intende prevalentemente come lingua scritta di cui è necessario conoscere la grammatica e le regole, ma il cui uso orale e di comunicazione è completamente svilito. L’insegnante è inoltre quasi sempre italiano e trasmette le nozioni nella propria lingua.
Questo approccio lascia l’impressione, una volta che si tenti di parlare una lingua straniera, di non “essere capaci” o “non essere portati”, mentre è vero solo che non si è stati abituati a parlare e a comunicare nella lingua desiderata.
La profezia che si autoavvera
In questo modo si attiva inoltre quel processo detto della “profezia che si autoavvera”. Ciò significa che se qualcuno ci dirà che non siamo bravi in una cosa o non riusciremo a farla, noi inconsciamente faremo in modo che alla fine il risultato sia quello previsto. La mancanza di fiducia che viene riposta in noi ci porterà a comportarci di conseguenza, dando luogo al cosiddetto “effetto Pigmalione”: la suggestione è così forte da aver conseguenze reali anche sul comportamento. Nel caso specifico dell’apprendimento quindi, un’intera nazione verrà convinta di essere “geneticamente” incapace di imparare una nuova lingua, con le conseguenze descritte.
Inversione della tendenza grazie alle nuove tecniche
Ma qualcosa sta cambiando: le nuove tecnologie aiutano le singole persone ad avvicinarsi all’apprendimento delle lingue con approcci più individuali. Se si è curiosi di imparare un’altra lingua lo si può fare senza spendere grosse somme per andare all’estero o prendere parte ai corsi in orari che mal si integrano nella routine quotidiana. E i tre metodi (uditivo, visuale e cinetico), così utili per l’apprendimento e l’espressione, si possono esercitare senza troppi sforzi. Al giorno d’oggi infatti internet ci permette di avere accesso a video e giornali da ogni parte del mondo (metodo visuale e uditivo), e le app di apprendimento online ci fanno esercitare in tutti e tre: sentiamo la pronuncia corretta, la ripetiamo, vediamo immagini associate alle parole e anche l’aspetto cinetico (e tattile) non è trascurato grazie a esercizi in cui si muovono ad esempio parole sullo schermo o si digitano attivamente lettere per comporre le parole.
Il fatto che gli italiani, se hanno a disposizione gli strumenti corretti, non sono né meno “bravi” né meno “portati” di altri, ci è reso evidente dall’analisi dei dati di apprendimento che abbiamo a disposizione. Non solo le performance delle persone dai vari Paesi si assomigliano, ma la media degli italiani è addirittura leggermente superiore alla media internazionale.
Fonte: Wired