Sono già numerose le teorie avanzate dagli esperti del settore, circa le caratteristiche che portano una persona ad essere più o meno portata per le lingue straniere. Così, se è vero che i bambini bilingue sviluppano una maggiore flessibilità e che alle donne l’apprendimento risulta in alcuni casi più semplice che agli uomini, è stato anche appurato che imparare un nuovo idioma da adulti si può e che gesticolare favorisce la memorizzazione.
Come ha ben sottolineato la professoressa Susanne Reiterer, dell’Università di Vienna, in altre parole ne consegue che «la maggior parte, circa il 70% delle persone, non sono né particolarmente brave né negate. Il 15% ha un talento particolare e il restante 15% ha difficoltà». Nel detto 70% rientrano più macrocategorie di individui, organizzate in uno schema pensato proprio dalla studiosa austriaca: i fattori di predisposizione, infatti, sono stati da lei suddivisi in venti gruppi. In primis ce n’è uno di matrice psicologica, giacché non sono da escludere elementi «come la personalità, la memoria e la motivazione»; gli altri sono, poi, di ordine biologico (DNA, livelli di testosterone), sociale (istruzione, interazioni extrafamiliari) e linguistico (somiglianza fra idioma materno e quello di apprendimento); infine, da non sottovalutare sono molte variabili personali dovute al tipo di attività e di competenze soggettive in altri settori della vita.

I più pigri, però, badino bene: ciò non significa che il processo sia semplice. Senza esercizio, costanza ed esperienza rimane difficile raggiungere obiettivi di eccellenza, anche se la consapevolezza che molti risultati siano per natura alla propria portata può incoraggiare molto a mettersi in gioco. Se le cose stanno così, in effetti, perché non concedersi un’occasione – anzi, una chance?
Fonte: Voci di Città