Il Pinocchio in emoji disegna un nuovo italiano

La prima opera di traduzione di un testo letterario nella nostra lingua, con grammatica e glossario, è il frutto di un’operazione collettiva e di un bot su Telegram.

“Questo legno è capitato a tempo; voglio servirmene per fare una gamba di tavolino”, diceva maestro Ciliegia: Collodi non avrebbe mai potuto immaginare che qualcuno, nel 2017, avrebbe pensato che fossero le emoji, a “capitare a tempo” e che qualcuno se ne sarebbe servito per fare del suo Pinocchio un nuovo libro. Si intitola “Pinocchio in Emojitaliano” il primo esempio di versione di un testo letterario italiano nei pittogrammi pronipoti delle emoticon.

Niente a che vedere con le versioni illustrate della celebre storia del burattino: l’edizione pubblicata da Apice Libri è impaginata con un testo a fronte – non potrebbe essere altrimenti – con la traduzione, proprio come nei volumi in due lingue diverse. Perché per quanto universale si possa ritenere il linguaggio grafico tipico del digitale, sul quale delibera il Consorzio Unicode, un conto è utilizzarne le icone per sostituire alcune parole, un’altra creare un codice condiviso di comunicazione (con tanto di verbi).

 

 

Di tentativi di traduzione ce ne sono stati, dalla versione di Moby Dick (“Emoji Dick ”, del 2010) alla Bibbia, ma la novità, appunto, è un’altra: “è la configurazione di un codice standardizzato, intitolato Emojitaliano”. Come se nel Paese dei dialetti e delle cadenze regionali, si fosse aggiunto un nuovo modo di scrivere e leggere, frutto di un lavoro di una vera e propria community (“Scritture Brevi ”, su Twitter) e della realizzazione di un dizionario apposito su Telegram.

“Nei mesi della traduzione su Twitter, sarebbe stato impossibile memorizzare i valori semantici che venivano assegnati agli emoji e anche aggiornare manualmente il dizionario che ogni giorno si andava ampliando – spiega l’autrice Francesca Chiusaroli, docente di Linguistica generale e applicata e di Linguistica dei media all’Università di Macerata – A questo punto si è inserito il contributo dei colleghi Johanna Monti e Federico Sangati. Sangati ha proposto e realizzato il bot di Telegram, dove gli abbinamenti sono stati man mano registrati, diventando accessibili attraverso una pratica ricerca emoji-parola o parola-emoji”. Il bot in questione è attivo e consultabile (c’è anche la Costituzione a disposizione, per chi volesse provare).

Alcuni esempi rendono l’idea di quanto complesso possa essere risultato il lavoro: se è vero che esiste la raffigurazione della casa, come restituire la parola “bottega”? Si è optato per l’emoji della casa, affiancata a quella degli strumenti di lavoro. E come restituire un concetto astratto e intimo come “colpa”? In questo caso, i traduttori hanno attinto dall’immaginario biblico, con la sequenza “uomo-donna-mela”.

 

Pinocchio, il protagonista, compare come immagine del ragazzo che corre, e anche come robot, in associazione all’emoji delle piante. Perché? Si legge nel libro:

“L’accezione comune di “pinocchio” come elemento vegetale (ad esempio “pinolo”) viene riprodotta attingendo all’elenco delle piante – 🌱-, mentre ancora sulla base di riferimenti alla critica, in particolare ricordando la pratica diffusa degli spettacoli di automi alle fiere di paese nella Toscana di re Leopoldo, si pone la scelta di usare l’emoji del “robot” per “burattino”.

“L’opera di traduzione è stata indubbiamente complessa – conferma Chiusaroli – Costruire un codice a base comune ha comportato uno sforzo di condivisione da parte della community dei traduttori, impegnati sul testo per otto mesi. Nel libro, sono a questo punto forniti al lettore tutti gli strumenti per cimentarsi a propria volta: testo a fronte, grammatica e glossario”.

Per quanto la storia di Collodi abbia un valore universale e la sua scrittura, per definizione stessa della curatrice della versione in emoji, sia “colorata e vivace”, il libro assume una valenza accademica, più che generalista.

La sfida di Pinocchio è ancor più interessante se si pensa che la ricerca ha dimostrato quanto le culture, così come le piattaforme e i sistemi operativi , rendano le emoji meno universali di quello che si pensi (tanto che esiste chi le traduce per lavoro).

“Gli emoji hanno la caratteristica di trovarsi nelle tastiere di tutti i nostri dispositivi digitali. – risponde Chiusaroli, che li indica col genere maschile – Costituiscono quindi un repertorio accessibile a tutti, e la standardizzazione operata da Unicode crea, di fatto, un terreno di incontro e di confronto, al di là delle differenze. Nell’età di Internet e dei social media, considero un’occasione privilegiata avere dei segni potenzialmente capaci di parlare a tutti”.

 

 

Fonte: lastampa.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *