Imparare l’italiano con i videogiochi? Certo e la lingua è sempre più bella

Intervista con il Prof. Simone Bregni, che dopo anni di approfondite ricerche, ha creato il corso universitario "Intensive Italian for Gamers"

“Come educatore, premetto che i pregiudizi non mi preoccupano molto; stimolano invece il mio ruolo, appunto, di figura professionale che intende educare a superare i pregiudizi, fornendo informazioni, dati e spiegazioni. In realtà non ho dovuto superare molti pregiudizi in ambito accademico, perché la mia metodologia e il mio corso sono stati sviluppati grazie a una borsa di ricerca competitiva”

Da adolescente nella sua Asti in Piemonte, Simone Bregni giocava con i videogiochi, anzi ne era appassionato e tuttora ci gioca. Addirittura li porta con sé in aula come strumento didattico per insegnare italiano agli studenti della Saint Louis University. Il professor Bregni, ispirato da videogiochi che l’avevano aiutato ad imparare l’inglese velocemente e in modo pratico, nella sua ricerca attuale approfondisce questa esperienza personale in un corso intero chiamato Intensive Italian for Gamers.

Bregni afferma che quando molti studenti (secondo il PEW Research Center, circa il 70% degli studenti universitari americani gioca ai videogiochi, almeno occasionalmente) passano una parte del loro tempo libero giocando ai videogiochi, l’apprendimento della lingua e cultura italiana (o di altre culture) può continuare ad avvenire fuori della classe e anche al di fuori di corsi specifici.

Il professor Simone Bregni, professore associato della Saint Louis University

Questa sua ricerca ha le orgini al Trinity College dove Bregni era “approdato” come Graduate Fellow in Italian e aveva a disposizione delle risorse dipartimentali – un prestigioso Mellon Grant – per iniziare le sue esplorazioni con i videogiochi nell’apprendimento linguistico. Passati velocemente 21anni, grazie al supporto del Reinert Center for Transformative Teaching and Learning della Saint Louis University, Bregni è stato invitato da diverse istituzioni americane e europee a condividere la sua ricerca e pratica d’insegnamento con una serie di workshop e presentazioni accademiche.

Cerchiamo di capire in questa intervista come il Professor Bregni utilizza Assassin’s Creed, Rise of the Tomb Raider e altri videogiochi americani per insegnare l’italiano.

Professor Bregni, i videogiochi come strumento glottodidattico per imparare la bella lingua? Quando mai?

“In realtà, è dalla metà degli anni ’80 che molti videogiocatori, come me, si sono resi conto che giocare certi tipi di giochi con un’enfasi specifica sulla comunicazione (scritta, a quell’epoca; poi anche orale, a partire dalla fine degli anni ’90, con l’evoluzione tecnologica delle console e l’avvento della prima PlayStation) contribuiva a migliorare e a esercitare la propria conoscenza di una lingua straniera. Nel caso di molti di noi in Europa, la lingua in questione era l’inglese. A partire dall’inizio degli anni 2000, i videogiochi hanno cominciato a essere localizzati (linguisticamente e anche culturalmente) in molte altre lingue, italiano incluso. Il termine “localizzazione” indica che non è stata semplicemente operata una traduzione, ma che anche i contenuti culturali sono stati traslati nella cultura di quella lingua, in modo da rendere il gioco perfettamente accessibile.
A partire dai primi anni 2000, alcuni videogiochi specifici sono avventure cinematiche interattive, con un’enfasi spiccata sulla comunicazione, piuttosto che sull’“azione”. Sono anche videogiochi che tendono a essere accessibili a un pubblico vasto, incluso anche chi tendenzialmente non gioca ai videogiochi (i cosiddetti “casual gamer”). Tali videogiochi offrono tutti i vantaggi dei film (una narrativa orale e visuale spesso di ottimo livello; lingua scritta nei sottotitoli); ma in piu` offrono anche la dimensione dell’interattività. Possono essere quindi utilizzati come efficaci realia per rafforzare e permettere l’esercizio pratico di materiale che è già stato in precedenza acquisito con tecniche di apprendimento tradizionali. Alcuni di loro possono anche contribuire all’acquisizione di contenuti culturali; è il caso ad esempio dei tre capitoli della serie di Assassin’s Creed che si svolgono nell’Italia nel Rinascimento. Se i creatori della serie si sono pur presi alcune “libertà” dal punto di vista storico (anche se la funzione Databaseall’interno del gioco contiene sempre dati storici accurati, presentati in maniera sintetica e efficace), dal punto di vista culturale la ricostruzione dell’Italia dell’epoca Medicea è accurata. Il che mi permette di introdurre in classe ad esempio discussioni sul ruolo dell’Italia nello sviluppo della cultura dell’Occidente moderno, e sui motivi che ne hanno determinato l’egemonia culturale. Lo scambio culturale nei centri di alto scambio commerciale nelle città italiane costruite intorno alla piazza come centro di aggregazione; le infrastrutture idriche e sanitarie romane che permettevano condizioni di vita migliori che nel resto d’Europa; tutto questo, e altro, è presente nella serie di Assassin’s Creed”.

Le meravigliose bellezze fiorentine ritratte in Assassin’s Creed 2. Ph. gamesblog.it

Quali erano i pregiudizi che ha dovuto superare in academia per portare avanto questo corso?

“Come educatore, premetto che i pregiudizi non mi preoccupano molto; stimolano invece il mio ruolo, appunto, di figura professionale che intende educare a superare i pregiudizi, fornendo informazioni, dati e spiegazioni.
In realtà non ho dovuto superare molti pregiudizi in ambito accademico, perché la mia metodologia e il mio corso sono stati sviluppati grazie a una borsa di ricerca competitiva ottenuta attraverso il Reinert Center della Saint Louis University, che gode di ottima reputazione e stima a livello mondiale come centro all’avanguardia per sviluppo di tecniche didattiche efficaci attraverso le nuove tecnologie. Nell’autunno del 2016 ho sviluppato con loro il corso che ho chiamato Intensive Italian for Gamers, che ho poi insegnato il semestre successivo.
L’esperienza didattica che avevo acquisito a partire dalla fine degli anni ’90 attraverso le mie “sperimentazioni” in classe con l’utilizzo dei videogiochi è servita come base che mi ha permesso di ottenere la borsa di ricerca. Fino ad allora, infatti, usavo i videogiochi come una delle tante attività culturali all’interno dei miei corsi “regolari” di lingua e cultura, in cui utilizzo le attività di laboratorio come opportunità e strumenti per esporre i miei studenti a una varietà di approcci alla cultura italiana attraverso il cinema, la letteratura, la musica, i fumetti / le graphic novels, le riviste, ecc.; e anche i videogiochi. Sono tutti strumenti che in didattica delle lingue si chiamano realia, manufatti culturali autentici che permettono esercizio e espansione di ciò che si è già imparato attraverso metodologie “tradizionali”. Faccio un esempio: dopo aver studiato il vocabolario relativo ai cibi e alla cucina, è utilissimo “toccare con mano” dei menù autentici di ristoranti italiani, e magari anche delle ricette di un libro di cucina italiano autentico. Il vantaggio è che concetti, strutture e forme astratte in questo modo si concretizzano, diventa più facile capirle in un contesto reale, e ricordarle”.

Si rifa a qualche teoria o strategia particolare della Second Language Acquisition?

“Certamente. Anzitutto, faccio riferimento alle teorie generali relative all’uso dei realia nell’acquisizione delle lingue straniere, che a partire dagli anni ’40 hanno mostrato i benefici dell’uso dei realia non per sostituire tecniche di apprendimento tradizionali, ma efficacissimi invece nel rafforzare e espandere vocabolario e strutture grammaticali e sintattiche.
Perchè i realia siano davvero efficaci, infatti, non li si può semplicemente usare come tali, portandoli in classe e “offrendone l’uso” agli studenti. Necessitano di un dettagliato e preciso lavoro preliminare che stabilisca quali siano gli specifici obiettivi didattici; la creazione di esercizi preliminari per preparare l’apprendimento; di esercizi di comprensione orale e scritta durante l’uso; e di attività successive per verificare e consolidare l’apprendimento.
Il mio utilizzo delle nuove tecnologie segue poi il modello SAMR (Substitution, Augmentation, Re-definition and Modification) del Dr. Puentedura, secondo il quale l’uso della tecnologia nell’insegnamento deve mirare a raggiungere i livelli di ri-definizione (in cui la tecnologia permette la creazione di nuove procedure di apprendimento) e di modificazione (in cui la tecnologia permette una sostanziale ridefinizione delle procedure di apprendimento); e non invece alla semplice sostituzione o incremento del fare attraverso la tecnologia ciò che può essere fatto con metodologie tradizionali.

Seguo inoltre le teorie del Game-Based Learning (GBL), uno strumento pedagogico legato alla Game Theory, la teoria dei giochi in cui gli studenti applicano riflessione critica.
Infine, dato che i videogiochi sono efficaci non solo, o non tanto, perché divertono, ma in quanto costituiscono una sfida (parole dell’uruguaiano Gonzalo Frasca), la difficoltà che essi comportano causa ripetizione, e la ripetizione stimola la memorizzazione”.

Una lezione tipica si gestisce…

“In Intensive Italian for Gamers, così come nei nostri altri corsi, usiamo un buon libro di testo con un programma online più strutturato, più interattivo e più solido, per permetterci di strutturare i nostri corsi secondo un modello ibrido: si usa il periodo in classe per fornire rapidamente strutture e vocabolario, per chiarire e risolvere dubbi, ma soprattutto per metterle subito in pratica nell’interazione orale in classe (“modeling”); mentre i compiti a casa servono per praticare, verificare e espandere l’apprendimento in tutte le cinque aree di acquisizione linguistica (comprensione orale e scritta; produzione orale e scritta; competenza culturale e interculturale).
Il corso Intensive Italian for Gamers è strutturato (come tutti i nostri altri corsi di lingua) con tre lezioni di 50 minuti e un laboratorio, sempre di 50 minuti, a settimana. I primi trenta minuti di ogni lezione sono per l’istruzione attraverso il metodo tradizionale: veloce spiegazione grammaticale, modeling, esercizi collettivi, in gruppo, a coppie. Gli ultimi 20 minuti di ogni lezione regolare sono dedicati al GBL”.

Ci può spiegare in parole povere il processo di identificazione, acquisizione, creazione?

“Lo faccio con un esempio. Nel nostro corso, dopo circa tre mesi di lezione, affrontando il capitolo relativo ai verbi base di azione (correre, camminare, saltare, scalare, ecc.) nelle tre coniugazioni, e, ad essi collegati, il vocabolario relativo agli sport e al clima, la classe gioca al primo capitolo di Rise of the Tomb Raider, che presenta molti di quei verbi nel proprio contesto narrativo: la giovane protagonista, Lara Croft, che esplora l’Himalaya in un crima rigido, mentre insegue indizi che la portano alla scoperta di una città segreta in cui è nascosto un antico manufatto, fuggendo da un gruppo di criminali al suo seguito. Una dispensa che io ho creato contiene esercizi che assistono gli studenti a identificarequegli specifici elementi di vocabolario e strutture che intendo rinforzare, guidandoli a osservarli “in azione” nel contesto dei dialoghi e della narrazione, con “classici” esercizi fill-in-the-gap e domande relative alla funzione e dinamica di quelle parole e strutture all’interno dello svolgimento della storia. Altri esercizi aiutano poi gli studenti a verificare e espandere il vocabolario relativo al clima (usando immagini per introdurre parole nuove) e forme (ad esempio, per parlare del tempo che fa); questa è la fase acquisizione. Infine, gli studenti sono chiamati a discutere e a scrivere della narrativa del gioco (ad esempio, invitandoli creare uno scenario alternativo, o a immaginare come proseguirà la storia), prima; e poi applicare il vocabolario e strutture che hanno in precedenza imparato, e poi rinforzato, alla loro esperienza quotidiana (ad esempio: “Lara Croft è dinamica e coraggiosa, e ama scalare le montagne? E tu?”). Questa è la fase creazione.
Questo è il procedimento che ho chiamato Identify, Acquire, Create (IAC): identificare nella narrativa vocabolario e strutture già noti, e notarne di nuovi grazie al contesto; acquisirli tramite una serie di esercizi finalizzati a scopi specifici; e, infine, creare un discorso orale e scritto in cui si applica ciò che si è appreso e reinforzato”.

Esistono dati che riescono a sostenere la validità di questo metodo videoludico per l’apprendimento della bella lingua?

“In tutti i miei corsi applico la procedura di Outcomes Assessment, la verifica dei risultati dell’apprendimento. Si tratta di una metodologia basata su dati diretti (test, esami, che forniscono dati oggettivi) e indiretti (questionari, che forniscono dati soggettivi, opinioni e percezioni degli studenti relative al loro apprendimento).
Ad esempio, tra il 2010 e il 2016 (prima e durante lo sviluppo del corso Intensive Italian for Gamers) ho misurato come gli studenti dei miei corsi regolari rispondevano alle due attività semestrali di laboratorio basate sui videogiochi. Dopo ogni attività, verificavo l’apprendimento attraverso un test (un esame scritto che includeva materiali già appresi con il metodo tradizionale e reinforzati con l’attività videoludica in laboratorio) e attraverso dei questionari (uno preliminare e uno successivo). Il questionario preliminare chiedeva agli studenti di parlare del loro interesse, o meno, per i videogiochi, e anche di quali altri tipi di media usavano per praticare l’italiano (musica, film, articoli online, Facebook, ecc.); mentre quello successivo conteneva domande per valutare le loro percezioni relative all’apprendimento. Tutti gli studenti dal 2010 al 2016 hanno dichiarato nei questionari finali di avere molto apprezzato le attività incentrate sui videogiochi (circa il 95% le ha valutate come eccellenti) e circa il 93% degli studenti ha dichiarato di aver imparato molto, inclusi gli studenti e le studentesse che nel questionario preliminare avevano dichiarato di non amare (o odiare) i videogiochi. I testi scritti hanno mostrato un rendimento con un incremento di nove punti di percentuale rispetto al valore mediano per la classe”.

Vi sono delle reazioni sia negative sia positive da gestire?

“Le applicazioni delle nuove tecnologie nella didattica tendono sempre un po’ a portare con sé delle critiche; ma devo dire che se per il momento ho ricevuto molto interesse, molte richieste di ulteriori informazioni e alcuni dubbi da chiarire, non ho ricevuto però critiche. L’unico dubbio forse che ho visto emergere nei commenti in rete, e che ho subito chiarito, era relativo all’eliminazione o sostituzione in toto di forme tradizionali di apprendimento. Non è così, come ho spiegato: la parte ludica si aggiunge a, e completa, quella tradizionale.
In Europa e in altre parti del mondo (il comunicato stampa della SLU relativo alla mia ricerca ha fatto il giro del mondo ed è stato riproposto a oggi da oltre 80 fonti d’informazione) vedo invece soprattutto molto entusiasmo e interesse; forse anche perché moltissime persone hanno fatto già, a livello empirico, esperienza diretta degli effetti dell’uso dei videogiochi sull’acquisizione linguistica. Durante questo sabbatico ho incontrato allievi di diversi istituti e scuole italiane; tutti coloro che dedicano parte del loro tempo ai videogiochi hanno notato un miglioramento nel giocare in modo costante a giochi in inglese, che continua ad essere la lingua dominante di questo formato digitale. Molti di loro, inoltre, giocando ad esempio al fenomeno mondiale attuale che è il videogioco Fortnite, hanno anche l’occasione di praticare il loro inglese parlato con altri utenti in tutto il mondo, giocando online.

Se l’inglese come ho detto domina questo mercato, sempre più videogiochi tuttavia sono oggetto di localizzazione linguistica e culturale; e sono questi appunto i giochi che utilizzo nei miei corsi. La mia università li acquista in Italia attraverso siti online, e possono essere utilizzati su sistemi PlayStation 4 acquistati in USA. La maggior parte dei giochi che ho studiato come migliori per l’acquisizione linguistica sono infatti disponibili esclusivamente su quel sistema”.

Un consiglio per chi vuole intraprendere quest’avventura con i videogiochi come strumento glottodidattico.

“È sufficiente secondo me anzitutto rendersi conto che una vasta percentuale dei nostri studenti usa questo strumento digitale di intrattenimento, e, credo, lo utilizzerà sempre di più. Ai docenti che non si intendono di videogiochi consiglio semplicemente di tener presente il fatto che alcuni (molti?) dei loro studenti sono interessati/appassionati di videogiochi, e magari trovare modi per includere questo loro interesse nelle attività in classe e come compito. Ad esempio, proponendo, per una presentazione orale, di preparare, per chi è interessato, una video recensione (o una recensione scritta) di un videogioco usando come fonti dei siti web e dei video in italiano; o come progetto finale, come hanno fatto ad esempio alcuni studenti del mio corso con i videogiochi, preparare un semplice RPG (Role-Playing Game, gioco di ruolo) con un programma disponibile gratis sulla piattaforma online Steam, e poi recitarlo in classe come esercizio orale. Anche gli effetti positivi del Group-Based Learning sono stati dimostrati.
E ricordarsi infine che anche se noi non siamo esperti di videogiochi (ma anche chi è esperto, come me, può non sapere tutto), alcuni dei nostri studenti lo sono; e li si può incoraggiare sia a esplorare autonomamente (ad esempio, selezionando l’italiano come lingua delle loro console da videogiochi e dei loro giochi specifici, con sottotitoli in italiano), sia a contribuire al corso suggerendo loro stessi modi e strumenti per incorporare il loro interesse. Ad esempio, io non ero a conoscenza del programma gratuito RPG Maker, sono stati i miei studenti che me ne hanno parlato; io li ho semplicemente incoraggiati a usarlo”.

*Ringrazio Alessandro Martina della Università del Madison-Wisconsin per il brainstorming digitale e delle discussioni pertinenti alla glottodidattica.

Fonte: www.lavocedinewyork.com