Perché gli esseri umani parlano così tante lingue?

Nel mondo se ne contano oltre 7000. Perché non ci basta un linguaggio universale (o almeno alcuni)? E quali fattori influenzano, più di tutti, la diversificazione linguistica in un territorio?

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Malakula, la seconda più grande isola della repubblica di Vanuatu (Melanesia) è un fazzoletto di terra lungo 100 km e largo 20: ciò nonostante, vi si parlano oltre 40 lingue diverse, tanto che molti studiosi definiscono questo territorio le Galapagos dell’evoluzione linguistica. Perché così tanti idiomi in poco spazio? E perché nel mondo se ne contano oltre 7.000, e non ci accontentiamo invece di una manciata di lingue universali?

 

DISTRIBUZIONE IRREGOLARE. Di risposte chiare ancora non ce ne sono. Tanto per cominciare, la varietà linguistica non è la stessa dappertutto. Nelle regioni tropicali si parlano molte più lingue che in quelle temperate. Nell’isola di Nuova Guinea se ne contano oltre 900, mentre la Russia, 20 volte più grande, vanta “solo” 105 lingue indigene. Anche ai tropici la distribuzione non è equa. Nelle 80 isole di Vanuatu (250 mila abitanti in tutto) si parlano 110 idiomi; il Bangladesh, che ha una popolazione 600 volte superiore, ne annovera solo 41.

In effetti passati studi hanno evidenziato che alle basse latitudini le lingue sono più spesso parlate in fasce ristrette di territorio che alle alte latitudini. Questa però è la fotografia di una situazione, non della sua causa. La latitudine potrebbe essere correlata alla diversità linguistica, ma di certo non la crea.

L’ESEMPIO DELL’AUSTRALIA. Michael Gavin, antropologo della Colorado State University, ha costruito e testato allora un modello, per capire come determinati fattori geografici, demografici e climatici potessero influenzare la diversità linguistica di un dato territorio. È partito da una mappa della varietà linguistica degli aborigeni australiani prima dell’arrivo degli europei, identificando 406 idiomi diversi, concentrati soprattutto a nord e lungo le coste (meno nell’interno desertico).

Ha poi preso in considerazione tre fattori:

  • L’uomo tende a migrare nei territori lasciati liberi da altre popolazioni
  • L’uomo si concentra dove le piogge sono abbondanti
  • Le popolazioni umane hanno una dimensione massima, superata la quale, iniziano a parlare due lingue diverse

SOVRAPPOSIZIONE PERFETTA (O QUASI). Il modello non includeva variabili socio-economiche come contatti tra popolazioni vicine, contaminazioni culturali o cambiamenti nelle modalità di sussistenza. Eppure quando è stato messo in moto, ha prodotto sulla cartina dell’Australia 407 lingue, solo una in più rispetto al vero, e con una distribuzione simile a quella reale.

Nelle mappe a sinistra, la varietà di lingue osservate e la ricchezza linguistica in Australia, prima dell’arrivo degli europei. A destra, i risultati del modello elaborati dagli scienziati, che rispecchiano da vicino la situazione reale. |
ALTRI FATTORI. Il modello è però difficilmente applicabile ad altri territori con una piovosità più uniforme di quella australiana (come appunto Vanuatu) o ad aree in cui la diffusione dell’agricoltura ha determinato il successo di un linguaggio, come è successo in Europa con le lingue indoeuropee e in Africa con quelle Bantu.

In alcune zone la topografia del territorio, il clima e la densità di popolazione possono essere le molle scatenanti la diversità linguistica. In altre, guerre, strategie politiche o attività economiche potrebbero pesare di più.

Fonte: Focus

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